È verità universalmente riconosciuta che gli architetti amino la carta e Luana Caira ne ha fatto il suo lavoro, dopo aver affrontato la difficoltà di essere allo stesso tempo madre e architetta. Ora si occupa di stationery per eventi, in generale, e matrimoni, in particolare, dal suo sito Eyder Wedding Design. Senza però scordarsi dell’architettura.
Domanda di rito iniziale: qual è stato il tuo punto di partenza?
Ho seguito il percorso classico di tutti gli architetti: le prime esperienze di lavoro durante l’università, poi la laurea, a Roma, nel 2007, l’Esame di Stato, l’iscrizione all’Albo e l’apertura della partita Iva, convinta dal mio capo – nel periodo in cui lavoravo per una società di ingegneria.
La Partita Iva mi era stata sponsorizzata come strumento per una libera professione che però, quando lavori a tempo pieno per uno stesso studio, non è realmente esercitabile.
Ci ho anche provato, con dei lavori extra per committenti privati, principalmente residenze, ristrutturazioni e progetti di interni, ma in un anno le entrate da questi lavori non corrispondevano al 10% del mio fatturato. Ho seguito anche alcuni lavori pubblici, mai portati a termine e mai pagati, per l’inerzia delle amministrazioni comunali e degli uffici tecnici.
Qual è stata la tua risposta a questa situazione?
Ad un paio d’anni dalla laurea ho deciso di affiancare alla professione delle altre attività, e ho iniziato a farmi conoscere aprendo un primo blog, che è rimasto online relativamente per poco tempo, ma che ha avuto molto seguito e dal quale è capitato che mi arrivassero anche degli incarichi professionali.
Poi mi sono sposata, e mi sono accorta sia del potenziale mercato che ruota attorno a questo evento, sia dei “vuoti” nell’offerta italiana di cui poteva essere interessante provare ad occuparsi. Nell’esperienza dell’organizzazione del mio matrimonio, mi è capitato infatti di guardarmi attorno alla ricerca sia di ispirazione sia di materiali da acquistare, per esempio di carte particolari per le partecipazioni, e di non trovare niente che incontrasse il mio gusto. Ho iniziato quindi a rivolgermi a internet, e al mondo anglosassone in particolare, e da lì è partito tutto.
Così è nato Eyder Wedding Design?
Sì, così ho iniziato ad occuparmi in particolare di stationery, termine che si può tradurre in italiano come “elementi coordinati di un prodotto cartaceo”. Nella cultura anglosassone è un prodotto diffuso che ha a che vedere con l’amore per la carta, la stampa, gli elementi decorativi, l’handmade ed il mondo dell’arts&crafts. Nella pratica mi occupavo – e tutt’ora mi occupo – di articoli cartacei completamente handmade: partecipazioni e buste con grafica personalizzata, soluzioni di packaging su misura di ogni tipo, mappe per indicazioni stradali, guestbook, segnatavoli e menù.
Come hai gestito i due lavori?
Su consiglio del mio commercialista, ho affiancato alla mia Partita Iva da architetto un nuovo codice di attività che coprisse questo nuovo lavoro.
A seguito di questo, sono stata contattata dall’Inps che sosteneva che io dovessi versare degli ulteriori contributi, nonostante li versassi già ad Inarcassa. Ho dovuto affrontare una causa, sostenuta anche dall’Ordine degli Architetti: in sostanza, ne è emerso che i contributi vanno alla Cassa relativa alla tua principale attività, quella a cui si dedicano più tempo e risorse, non per forza quella che ti porta il fatturato prevalente.
La mia attività parallela, però, iniziava a darmi sempre più lavoro e mi richiedeva più tempo e dedizione. Nel frattempo continuavo a lavorare per la società di ingegneria, ma trovavo il lavoro sempre più noioso: sono passata prima ad un part-time e poi ho lasciato del tutto.
Quindi hai smesso di lavorare come architetto nel senso più tradizionale del termine?
Per la verità non subito. Ho aperto uno studio di progettazione con altri due professionisti, un ingegnere e un geometra, coadiuvati dal titolare di un’impresa di costruzioni. L’idea era anche buona: riunire in un unico studio figure professionali che potessero occuparsi dei progetti da diversi punti di vista.
Nello stesso periodo è nata la mia prima figlia e devo ammettere che sono iniziate le mie difficoltà lavorative. Ero una libera professionista e dovevo lavorare: ho portato la mia bambina all’asilo nido a soli cinque mesi e mezzo e questo per me è stato un forte trauma.
Qual era la parte più difficile nel gestire il lavoro da architetto e la maternità?
Personalmente cercavo di dare il meglio al lavoro, dedicandomici dal mattino fino alle quattro del pomeriggio, con orario continuato, per poi andare a prendere mia figlia al nido. In quel periodo però in studio mi sono sentita un fantasma: restavo da sola a lungo durante la pausa pranzo, e i miei soci ricevevano spesso i clienti dopo le sette di sera, clienti che quindi ignoravano quasi la mia esistenza.
È stato in quel momento che mi sono accorta che quello dell’architettura e dell’edilizia è un mondo ancora molto maschilista, o almeno molto più facile per gli uomini: non che prima non lo sapessi, ma da studentessa brillante quale ero mi sono sempre detta: “Non importa: sono brava e spaccherò lo stesso!”.
Parallelamente, il mio sito andava benissimo e nel pomeriggio lavoravo per gli incarichi che mi portava, proseguendo di sera dopo che mia figlia si era addormentata. Il sito mi permetteva davvero una reale flessibilità di orario di lavoro che in quella fase della mia vita era indispensabile.
Insomma l’architettura non è un paese per donne?
Io sono ancora convinta che lo possa essere. In Italia, in determinate condizioni, è difficile, ma in prima persona vedo l’esempio di mia sorella, anche lei architetta, che vive in Svezia da sedici anni, lavorando in un grande studio, e che riesce a conciliare i suoi ritmi di vita e di lavoro. Non solo lei in quanto donna e madre: è una condizione generale che in Italia viene a mancare.
Certo, nemmeno nel nord Europa fare l’architetto è una professione che regala grandi soddisfazioni a livello economico, ma anche da questo punto di vista l’Italia è comunque un gradino più in basso: nei primi mesi dopo la laurea, ho rifiutato lavori da mille euro al mese, perché sono convinta che se un lavoro non mi consenta di mantenermi non sia considerabile un lavoro.
Cosa ne è stato del vostro studio associato?
Ognuno ha seguito altre strade. Io mi sono dedicata prevalentemente a Eyder Wedding Design, lavorando da casa. Vivo in una grande casa in cui ho allestito una zona a studio, un’altra a magazzino per la carta e macchine da stampa ed un’altra a laboratorio per le confezioni.
Nel 2014 ho deciso di investire nell’affitto di temporary office e oggi riesco ad incontrare mensilmente i miei clienti, a Roma, Milano e Caserta. È una delle parti del mio lavoro che mi dà più soddisfazione: uscire dalla sfera anonima e un po’ fredda del mondo online e viaggiare tutte le settimane per poter incontrare persone interessate a quello che faccio!
Continuo a svolgere alcuni incarichi di architettura e interior design, tramite conoscenze e passaparola, ma il mio lavoro principale è ora occuparmi di stationery.
Chi sono i tuoi clienti?
Il mio campo è quello degli eventi in generale, feste e cerimonie, ed in particolare quello dei matrimoni, quindi mi capita di collaborare con wedding planner, agenzie di organizzazione eventi o con proprietari di ville che ospitano cerimonie, ma anche di lavorare con clienti privati. Non partecipo mai alle fiere di settore perché è un ambiente che non mi piace, trovo assolutamente troppo caro il prezzo che viene richiesto per gli stand, anche 5-6000 euro per tre giorni di fiera. Personalmente penso che oggi con internet e i social network, meglio se con una buona campagna di advertising, si possa fare tutto, senza aver bisogno di fiere e mercati. Non sono comunque contraria alle esposizioni fieristiche per partito preso: se venissi invitata a partecipare ad una fiera che punta sulla qualità degli espositori piuttosto che sulla quantità di denaro che sono in grado di pagare, allora sì che potrei farci un pensiero!
Come promuovi la tua attività?
Sono molto presa dal lavoro e quindi non ho tanto tempo per seguire i social network. Di base cerco di seguirne solo uno, la mia pagina Facebook, ma di farlo bene (Infatti ha migliaia di followers – NdR).
Ultimamente sto sperimentando Pinterest, ma più come strumento di lavoro che come vetrina: ho iniziato ad usare delle bacheche private, personalizzate per cliente, da condividere con loro e nelle quali entrambi aggiungiamo le immagini corrispondenti alle idee che più ci rappresentano, in modo da creare una moodboard ad hoc per il “nostro” evento.
Cosa vedi nel tuo futuro?
Non posso fare a meno di vedere ancora la progettazione architettonica come una delle attività di cui mi occuperò in futuro, ma al momento il mio lavoro è legato al mio sito. Vorrei estendere un po’ il campo occupandomi anche di coordinati cartacei per singoli brand, dedicandomi in particolare agli operatori del settore dei matrimoni, agenzie e ville, e realizzarne quindi loghi, biglietti da visita, brochure e stampati con uno stile che ormai conosco bene.
Non posso negare inoltre che da questo lavoro ricevo maggiore soddisfazione rispetto alla mia attività di architetto: finora non mi è quasi mai capitato, pur dando il massimo, di vedere un cliente pienamente soddisfatto alla fine di un progetto o di un cantiere. Ma alla lunga si ha bisogno anche di un grazie: è appagante e impagabile per andare avanti convinti nel proprio lavoro.
Ed è in conseguenza di questo che faccio le mie scelte.
Se hai una storia interessante da raccontare, contattami.
Il mondo dell’architettura e dell’edilizia in generale è ancora molto maschilista, e lo è al di là della maternità. Noi progettiste ne siamo tutte consapevoli! Solo durante gli anni universitari non abbiamo subito differenze di genere, ma dal primo giorno in cui mettiamo piede in un cantiere, magicamente scopriamo questa realtà. Il diventare madre non fa altro che accentuare questo problema. Il problema non è quello di organizzare il nostro lavoro o di sperare che i nostri eventuali soci e colleghi lo facciano, perchè è la società italiana ad essere strutturata così! In altri paesi europei (che ho citato anche nell’intervista), gli orari lavorativi coincidono con quelli scolastici. In Italia no. La struttura della società e del mondo del lavoro non ha nessuna forma di congruenza con quella scolastica. Tutto si basa magicamente sull’aiuto della famiglia (nonni, zii, cognati) e per chi non ha disponibilità di questa tipologia di aiuto (noi ad esempio) su babysitter e supporto reciproco (mio marito sta con le bambine durante tutte le ore ed i giorni in cui non lavora, in modo tale che possa farlo io). Insomma, giusto per essere concrete, puoi riuscire ad organizzarti in qualche modo solo se sei veramente libera di farlo! Se sei il capo di te stessa (vedi il tuo capo in Spagna), sei libera di scegliere come e quando lavorare ed in qualche modo riuscire a conciliare il tutto, ma nelle forme di lavoro dipendente questa libertà è assente a tal punto, da rendersi spesso inconciliabile con la maternità (purtroppo)
Grazie per il commento, Archibooks! Premetto che le interviste che scrivo non rappresentano verità universali, ma rispecchiano l’esperienza delle persone con le quali mi trovo a parlare.
Detto questo, sono d’accordo con te sul fatto che la società per prima e la famiglia poi ci trasmettano l’aspettativa che sia la madre ad occuparsi dei figli. E’ innegabile che, se si fanno alcune scelte, almeno nei primi mesi un bambino sia oggettivamente più dipendente dalla madre.
Sono d’accordo con te anche sul fatto che la collaborazione in una famiglia sia fondamentale, ma a volte non basta. In qualsiasi tipo di lavoro una donna che diventa madre sperimenta delle difficoltà, quindi si potrebbe dire che è il mondo del lavoro (e non solo quello dell’architettura) ad essere più facile per gli uomini, ma certamente nella libera professione ci sono difficoltà diverse e più pressanti perché mancano una serie di tutele che dovrebbero aiutare le donne e non lasciarle sole.
Lasciando da parte la maternità, posso dirti comunque che – per esperienza – il mondo dell’architettura non sia ancora facile per le donne: negli studi, nei cantieri, con i clienti, con i fornitori, si vivono e si vedono piccoli e grandi episodi in cui le differenze di genere ti vengono ben schiaffate in faccia. Non mi disturba riconoscere e testimoniare un pregiudizio, mi interessa combatterlo e superarlo.
“È stato in quel momento che mi sono accorta che quello dell’architettura e dell’edilizia è un mondo ancora molto maschilista, o almeno molto più facile per gli uomini: non che prima non lo sapessi, ma da studentessa brillante quale ero mi sono sempre detta: “Non importa: sono brava e spaccherò lo stesso!”.”
Questo passaggio non mi ha pienamente conivinto. Nel senso: siamo sicuri che sia il mondo del lavoro profondamente maschilista e non l’ambiente famigliare? Senza entrare nel merito della vita privata di Luana, la gestione dei bambini dovrebbe essere ripartita tra entrambi i genitori, permettendo di conciliare figli e lavoro al meglio. Analogamente, i suoi soci, se potevano permettersi di fare meeting dopo le 19, probabilmente, se non single, avevano alle spalle una famiglia con la gestione dei ruoli di stampo patriarcale.
Detto questo, ho lavorato per un breve periodo in Spagna e mi è piaciuto tantissimo l’atteggiamento del mio capo, architetto, che usciva sempre puntuale nella pausa pranzo per prendere il figlio a scuola e pranzare a casa e in generale aveva un bel equilibrio casa/lavoro. Insomma secondo me era un bell’esempio di gestione di ruoli famigliari tra lui e la moglie.
Comunque complimenti per il sito e per la capacità di crearsi un lavoro che dia soddisfazione! 😉